Dopo un anno segnato dall’inflazione aggravata dal conflitto tra Russia e Ucraina, anche il 2024 si apre sotto l’ombra delle tensioni geopolitiche.
Le forze statunitensi hanno condotto nelle notti passate attacchi aerei contro obiettivi Houthi in diverse località dello Yemen. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha giustificato l’offensiva, sostenuta da una coalizione di 12 paesi, come una risposta diretta agli attacchi dei ribelli Houthi contro le navi commerciali internazionali nel Mar Rosso. L’obiettivo dichiarato è il ripristino e la messa in sicurezza della rotta più breve verso l’Oriente, attraverso il cruciale Canale di Suez.
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Il Mar Rosso e le altre rotte commerciali
Il Mar Rosso rappresenta uno dei principali corridoi marittimi al mondo e svolge un ruolo fondamentale nella connessione tra Europa, Asia e Africa orientale.
Tuttavia, gli attacchi ricorrenti da parte dei gruppi Houthi hanno spinto numerose imbarcazioni a cercare percorsi alternativi al tradizionale Canale di Suez, optando spesso per lunghe rotte di circumnavigazione dell’Africa e causando una riduzione del trasporto di container nel Mar Rosso del 70%.
Il transito attraverso il Capo di Buona Speranza comporterà inevitabilmente ritardi di 10-15 giorni nelle consegne e un notevole aumento delle tariffe di trasporto. Questo scenario è ulteriormente complicato dal rischio di congestione presso il Capo di Buona Speranza e dalla crescente limitazione della disponibilità di imbarcazioni, impiegate per periodi prolungati in percorsi più estesi.
L’impatto di questi cambiamenti, che sembrano solo peggiorare col trascorrere dei giorni, avrà conseguenze tangibili sul commercio internazionale e sulla catena di approvvigionamento. La carenza di componenti auto ha già portato aziende di grande rilevanza, come Volvo e Tesla, all’interruzione della produzione in Europa.
A rischio Import ed Export italiani
I settori di import ed export sono attualmente i più a rischio. Lungo la rotta marittima del Mar Rosso si muove il 40% dell’import-export italiano.
Le piccole imprese, prive di reti di approvvigionamento autonome e fortemente dipendenti dalle importazioni di materiali dall’Asia, si trovano ora in una posizione di particolare vulnerabilità.
L’ombra di un possibile aumento dei costi legati al commercio marittimo e la minaccia di una paralisi dei porti storici e più strategici d’Italia, tra cui Genova, leader nelle movimentazioni delle merci, Trieste e Gioia Tauro, suscita legittime preoccupazioni nel panorama economico.
A subire le conseguenze più dirette sarà l’esportazione del Made in Italy, in particolare la vendita di prodotti agro-alimentari verso l’Asia. Nel 2022, l’Italia ha esportato oltre 150 milioni di chili di mele solo in Arabia Saudita, India ed Emirati Arabi. Vi è molta preoccupazione anche per l’esportazione di vino in Cina, un mercato dal valore di 112 milioni di euro.
La scelta di circumnavigare il continente africano sta inoltre riducendo la centralità del Mediterraneo nelle rotte commerciali fra Europa e Asia.
In merito a ciò, il Presidente nazionale di Assopanelli, Fantoni, mette in guardia sul rischio che le navi in arrivo in Europa, dopo aver superato il Capo di Buona Speranza, possano dirigersi direttamente a Nord verso Rotterdam, tagliando fuori i nostri sistemi portuali con inevitabili ripercussioni anche in termini di perdita di posti di lavoro.
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Una nuova inflazione?
L’eventuale insorgere di una nuova inflazione è al centro delle riflessioni innescate dalla crisi del Mar Rosso.
Secondo JP Morgan, la crisi potrebbe compromettere la crescita globale di due punti e mezzo di PIL e rallentare pericolosamente il declino dell’inflazione previsto per l’anno in corso.
La società di investimento Schroders dipinge un quadro più ottimista: le difficoltà economiche causate dalla crisi nel Mar Rosso non si tradurranno in una ripresa dell’inflazione e non comprometteranno la riduzione dei tassi di interesse programmata per il 2024.
Secondo l’analisi di Schroders, le economie dell’Eurozona, del Regno Unito e degli Stati Uniti mostrano una minore dipendenza dalle forniture bloccate a causa del conflitto nel Canale di Suez. La pandemia del 2020 ha, infatti, già rallentato la crescita di queste economie e ha favorito un consumo più equilibrato e orientato verso i servizi piuttosto che verso i beni. Ciò suggerisce una diversificazione nelle modalità di spesa e una maggiore resilienza di fronte alle perturbazioni nelle catene di approvvigionamento.
Inoltre – commenta sempre Schroders, l’economia globale si troverebbe ad affrontare dei ritardi nei tempi di consegna, ma non delle vere e proprie carenze di componenti o materiali: una situazione ben distante dai blocchi produttivi che hanno caratterizzato il periodo di lockdown.
Il settore manifatturiero non sembra quindi essere motivo di preoccupazione. Maggiori sono le apprensioni che emergono in relazione a un possibile aumento del prezzo del petrolio, che potrebbe raggiungere i 120 dollari al barile.
Non possiamo ignorare il significato politico della crisi del Mar Rosso, pericolosamente connessa al conflitto israelo-palestinese. Gli attacchi Houthi contro le imbarcazioni mercantili occidentali rappresentano un chiaro sostegno al popolo palestinese. Non è da escludere che, con l’aumentare dell’ingerenza occidentale nella delicata regione del Medio Oriente, i paesi arabi possano rispondere con un incremento dei prezzi del greggio che, con un effetto a cascata, si riverserebbe sui prezzi al dettaglio per i consumatori finali.
Un mare di incertezze
In un panorama globale caratterizzato da contesti geopolitici instabili e altamente conflittuali, la volatilità dei mercati diventa un elemento cruciale da considerare per gli investitori italiani ed europei.
La risposta dei mercati internazionali alle possibili escalation in Medio Oriente, così come alle elezioni politiche negli Stati Uniti e in Europa, rimane incerta e difficilmente prevedibile.
Gli investitori dovrebbero, quindi, muoversi verso strategie più difensive, volte a preservare i risparmi nel lungo termine, come la diversificazione del portafoglio attraverso asset class resilienti, l’attenzione a settori meno influenzati dalle tensioni geopolitiche e l’utilizzo di strumenti finanziari di copertura.